«Giona conduceva una vita serena e tranquilla, aveva le idee chiare sulla religione, sull’antagonismo tra bene e male, sull’azione di Dio e su cosa Egli si aspettava da lui, su coloro che erano fedeli all’alleanza e su quanti non lo erano. Giona aveva le conoscenze e tutte le carte in regola per essere un bravo profeta e continuare la tradizione secondo la logica del “come era sempre stato fatto”.
All’improvviso Dio sconvolse il suo ordine irrompendo nella sua vita come un torrente in piena, privandolo di ogni sicurezza e comodità: lo inviò a Ninive, “la grande città”, simbolo di tutti i reietti ed emarginati, per proclamare la sua Parola. Così facendo Dio lo invitava a sporgersi oltre i suoi limiti, ad andare verso la periferia, affidandogli la missione di ricordare a tutti gli uomini smarriti che le braccia di Dio erano aperte e che Lui avrebbe offerto loro il suo perdono e la sua tenerezza. Ma la sua richiesta andava oltre le capacità di comprensione di Giona, che decise di abbandonare la missione scappando nella direzione contraria a quella indicatagli da Dio, alla volta di Tarsis, in Spagna.
Le fughe non sono mai positive… Quando Giona si imbarcò per Tarsis, la nave sulla quale viaggiava fu sorpresa da una tempesta e, dopo aver confessato ai marinai di essere lui la causa dell’ira divina, questi lo gettarono in mare. Mentre si trovava in acqua un grosso pesce lo inghiottì. Giona, che era sempre stato una persona tranquilla e pacata, non aveva tenuto conto che il Dio dell’Alleanza non viene mai meno ai suoi giuramenti ed è terribilmente insistente quando è in gioco il bene dei suoi figli. Per questo, quando la nostra pazienza si esaurisce, Lui si pone in attesa, facendo risuonare senza sosta la sua tenera parola di Padre. Quello da cui Giona fuggiva non era tanto Ninive, ma l’amore senza misura di Dio per quegli uomini. Questo non rientrava nei suoi piani». (Papa Francesco, È l’amore che apre gli occhi, Rizzoli, 2013, 82 s.)